BUONE IDEE
BUONE IDEE
Buona idea 4
TeachersForFuture
Il comunicato che i TeachersForFuture invitano a leggere al primo Collegio Docenti, in ogni scuola di Italia.
Il molto citato Zygmunt Bauman sostiene che la modernità è la convinzione “che il cambiamento è l’unica cosa permanente e che l’incertezza è l’unica certezza”.
Dobbiamo quindi attrezzarci ed organizzarci secondo modalità elastiche e duttili per adeguare il nostro insegnamento e più in generale le nostre azioni a questo ambiente (materiale e culturale) in continua “evoluzione”, o meglio in continuo “cambiamento”…
Come forse saprete, a partire dal 20 settembre si terranno a livello globale mobilitazioni e manifestazioni contro la crisi climatica e il collasso ecologico del pianeta, che vedono sempre più protagonisti i nostri ragazzi e studenti, anche in Italia. Molti insegnanti si stanno organizzando per sostenerli e supportarli.
Quindi è ora di fare il punto della situazione storica che stiamo vivendo:
il negazionismo sui cambiamenti climatici si sta squagliando insieme ai ghiacci dell’Artico…
le remore a considerare la scuola come soggetto che affianca e supporta i movimenti giovanili e le loro azioni svaniscono…
la dead line del 2030, cioè la data indicata dall’ONU entro cui la società dovrebbe attuare una radicale conversione ecologica e transizione energetica, si sta avvicinando: anzi purtroppo sembra che il limite del non ritorno si avvicini molto di più del semplice passare del tempo..
Siamo quindi chiamati tutti, in ognuna delle dimensioni della nostra vita, a mettere in campo quanto possibile per invertire la rotta: con azioni individuali, sul lavoro, nell’impegno civile e politico, nel riconoscere questo impegno nei nostri ragazzi ogni qualvolta avanzano le loro rivendicazioni a un futuro per le generazioni a venire.
Invito inoltre a riflettere sul fatto che alcune scuole in Italia hanno dichiarato, con un atto ufficiale, lo “stato di emergenza climatico ed ecologico” per legittimare l’impegno civile dei ragazzi, organizzare attività e progetti sempre più numerosi che abbiano al centro la salvaguardia del mondo naturale, e favorire il coinvolgimento degli studenti nell’opera di pressione politica nei confronti delle nostre istituzioni.
Quello che ci accomuna, oltre ad essere cittadini del mondo, è il nostro ruolo di insegnanti ed educatori: percorriamo insieme questo nuovo anno di lavoro, supportandoci a vicenda.”
La scuola è il primo luogo dal quale ripartire per creare una vera cultura ambientale e una vera coscienza attiva: per questo siamo entusiasti di vedere che anche gli insegnanti scendono in campo accanto ai loro studenti, si organizzano e sono pronti a combattere insieme la più grave crisi del nostro tempo.
Mercoledì 4 settembre si terrà a La Spezia il primo incontro TeachersForFuture: ci auguriamo che l’avvio di questi lavori raggiunga obiettivi condivisi e che sproni all’emulazione tutti i docenti d’Italia. Noi ragazzi ci siamo, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto. Non lasciateci combattere soli.
1 settembre 2019
Teachers For Future Italia
L’ideale del successo individuale
Le scuole e le università non sono immuni dal rischio di ritenere che l’obiettivo della qualità dell’insegnamento, oltre che della produttività nella ricerca, sia tutto quanto si richieda loro e le renda attrattive e che il loro compito consista nell’offrire ai giovani gli strumenti che consentiranno di conseguire un successo individuale, all’interno di una concezione utilitaristica dell’apprendimento.
Certo, la sfida della qualità non può essere ignorata, ma che cosa vuol dire qualità?
Non è difficile riconoscere la forte spinta esercitata dalle richieste che provengono dal mondo dell’economia, diventata l’unico punto di riferimento. Si ha così una concezione mercantile dell’istruzione, come della vita, che chiede alla scuola e all’università soprattutto di essere funzionali alle richieste di un mercato in continua trasformazione. Il criterio dell’utilità prevale su ogni altro criterio.
Il potere economico sta provocando una sempre più accentuata etero direzione del curricolo, che viene ripensato in modo che sia funzionale alle esigenze del nuovo mercato. Concetti quali globalizzazione o innovazione sono ormai declinati in termini esclusivamente economici. Si viene così a delineare un nuovo contesto di significati, nel quale parole come merito, impegno, successo, competizione assumono connotazioni molto lontane da quelle che assumerebbero se collocate in uno sfondo educativo.
L’analfabetismo che viene chiamato ‘di ritorno’ o de-alfabetizzazione non riguarda solo la lettura di libri o giornali, ma tutte le espressioni artistiche e culturali. E questo tipo di analfabetismo ‘umanistico’, di cui sembra ci si curi molto poco, è il risultato del prevalere della pressione funzionalista che dall’economia si dirige alla scuola, chiamata a fronteggiare l’invadenza di una cultura mercantile che, sotto l’imperativo dell’ utilità e del profitto che non conosce regole, erode ciò che è umano nell’uomo.
La solidarietà è difficile, ma quando viene meno, sono a rischio i diritti, non solo quelli sociali, tanto che, come diceva Norberto Bobbio, si sta passando dall’età dei diritti affermati all’età dei diritti negati.
L’ideale del bene comune
Al modello funzionalista, che subordina tutto alle esigenze del mercato, si può contrapporre un modello diverso, fondato sul valore della persona, modello che potremmo definire antropocentrico.
“Non siamo monadi isolate, come palle di bigliardo che si incontrano e si scontrano sul tappeto verde della vita. Siamo esseri sociali, anche se conflittuali. Egoisti, che abbiamo bisogno dell’altruismo degli altri. Questa situazione contraddittoria fa sì che la convivenza sia difficile, e che apprendere a convivere appaia, una volta di più, il principale compito educativo”.
Dal punto di vista educativo, il problema che si pone non riguarda il desiderio di realizzazione di sé, che risponde ad un bisogno antropologico fondamentale, ma la perdita di altri bisogni che appartengono alla natura della persona umana, quali quello della relazione con gli altri, dell’appartenenza, della solidarietà (alla sfera di quelli che possiamo considerare diritti della collettività, all’ambito del ‘bene comune’).
Il ‘noi’ è radicato non meno dell’ ‘io’, come componente essenziale della nostra identità umana.
Riflettendo sull’esperienza di ciascuno di noi, possiamo facilmente constatare che non ci mobilitiamo esclusivamente per ciò che è ricompensato (generalmente, misurando l’impegno sulla base dell’entità della ricompensa), ma ci impegniamo, e molto di più, senza calcoli utilitaristici, per ciò che è, in sé, per noi una ricompensa, a prescindere da ogni altra attestazione esterna e da ogni vantaggio pratico che possa derivarne. Ci sono cose che sentiamo molto importanti, che facciamo per il piacere di farle o per la passione che ci anima. Hanno senso per noi, ci ripagano della fatica. Una motivazione basata sul riconoscimento esterno non mobilita la dimensione interiore della persona e quindi non costruisce indipendenza, autonomia, fiducia nelle proprie possibilità, proprio quei valori che si desidera perseguire.
Chiedere ai giovani di puntare tutto sullo sviluppo delle competenze viste come mezzo di realizzazione individuale, risorsa per emergere nella giungla della vita, occasione per eccellere individualmente, per guardare gli altri dall’alto di una classifica gratificante è una molla motivazionale sufficientemente forte e convincente? Impostare i percorsi di studio sulla base della immediata spendibilità degli apprendimenti, far coincidere l’utile per il mercato con l’utilità personale, è questo che chiedono le giovani generazioni?
Il bisogno di relazione che contraddistingue la nostra natura umana ci fa pensare che la strada da intraprendere sia un’altra. La scommessa è credere che le giovani generazioni possano essere disposte a mobilitarsi e impegnarsi non, semplicemente, per conseguire buoni risultati e aspirare a una carriera di successo, ma, e anche con più forza, perché sentono che il bene comune è anche il loro bene, la loro competenza può diventare responsabilità una risorsa per migliorare il mondo, la solidarietà e la gratuità sono appaganti.
Questo è possibile se si mette al centro della proposta educativa il concetto di ‘servizio’ alla comunità. Lavorare per il bene della propria comunità è il modo migliore per lavorare anche per la propria crescita personale, impegnarsi per la soddisfazione dei diritti collettivi è anche garanzia dell’impegno per la difesa dei diritti individuali.
La proposta pedagogica del Service Learning
E’ su queste basi che poggia la proposta pedagogica del Service Learning, che interpreta l’apprendimento in termini non solo di vantaggio individuale, ma anche sociale.
Come molte ricerche dimostrano, se gli studenti utilizzano le competenze sviluppate nel loro percorso di studio per rispondere a problemi presenti nel contesto sociale, migliora non solo la qualità del loro apprendimento, ma la loro motivazione ad apprendere e la loro apertura agli altri. Portare gli studenti a misurarsi con problemi reali richiede di inserire nel curricolo scolastico una forte apertura alla realtà, nei suoi aspetti sociali, culturali, ambientali. La didattica, così intesa, diventa un invito all’incontro, all’uscita dall’autoreferenzialità, un contributo a capire i problemi del mondo di oggi, un ambiente di apprendimento significativo finalizzato a sviluppare le competenze necessarie a vivere nel XXI secolo. I tradizionali contenuti di studio vanno rivisti. Va abbandonata la vecchia abitudine di “finire il programma”, o di non discostarsi dal libro di testo. Va ripensato il significato del curricolo, che deve essere collegato alla esperienza degli alunni, nel quale le discipline sono strumenti di soluzione dei problemi, chiavi di comprensione dei bisogni presenti nel loro contesto di vita.
La ricerca ci dice che le competenze si sviluppano solo se vengono messe alla prova della realtà, se vengono sfidate da problemi reali. L’approccio didattico per competenze favorisce lo sviluppo di atteggiamenti e capacità di azione in condizioni di incertezza, quando si ha a che fare con situazioni nuove e complesse. Gli alunni diventano protagonisti del loro apprendimento e capaci di dare senso a quanto la scuola propone loro, quando sono coinvolti in iniziative concrete di risposta a bisogni presenti nel contesto sociale.
L’impatto con i problemi obbliga gli studenti a fare ricorso alle loro risorse cognitive ( quanto hanno appreso e stanno apprendendo a scuola) e motivazionali (se quanto hanno imparato contribuisce a dare risposta a qualche bisogno, aumenta il senso dell’importanza di quanto si è appreso e del valore dell’essere sufficientemente competenti per saper rispondere ai problemi degli altri).
Infine, è importante aiutare gli studenti a riflettere su quanto hanno fatto, su come hanno affrontato i problemi, su come si sono sentiti durante la realizzazione del progetto nel quale si sono impegnati, sulle difficoltà, le criticità, le conquiste. Diventare consapevoli delle esperienze realizzate aiuta a rimettere in causa pregiudizi, precomprensioni e stereotipi.
C’è uno slogan particolarmente efficace per esprimere sinteticamente che cosa è il Service Learning: “Apprendere serve, servire insegna”. Del fatto che apprendere serva siamo tutti consapevoli. Ma l’apprendimento può servire a tanti scopi, anche ad alimentare un individualismo competitivo che vede gli altri come intralci alla nostra affermazione. Il verbo ‘servire’ ha, però, nella visione del Service Learning, un significato ben diverso da quello individualistico o assistenziale. Pur nella varietà delle esperienze che che si richiamano a tale approccio, e che riflettono i diversi contesti culturali nei quali il Service Learning è diffuso, ci sono tre elementi che lo caratterizzano:
– le attività solidali devono riferirsi ad un bisogno presente nella propria realtà, e sono progettate non per, ma con i membri della comunità nella quale si interviene;
– gli studenti hanno un ruolo attivo, da protagonisti, in tutte le fasi del progetto, dalla sua ideazione alla sua valutazione;
– l’azione solidale non è estranea a quanto gli studenti apprendono a scuola, ma è pienamente inserita nel curricolo e consente un apprendimento migliore.
In questo modo la solidarietà non è qualcosa che si predica nelle aule, ma non si pratica nella vita, o, al contrario, che riguarda l’esperienza extrascolastica dello studente, ma è irrilevante per il suo apprendimento accademico. L’approccio del Service Learning consente di ridurre una duplice distanza, quella tra l’apprendimento accademico e la vita reale; quella tra i valori proclamati e i valori testimoniati. Il Service Learning occupa lo spazio di intersezione tra teoria e pratica, tra ricerca e sperimentazione, tra apprendimento come sviluppo delle competenze individuali e condivisione e azione solidale, perché a crescere e svilupparsi sia la comunità.
Sul piano pedagogico siamo di fronte ad una proposta che si rivolge all’integralità della persona, promuovendo lo sviluppo della mente (la testa ben fatta), della mano (la competenza nell’azione) e del cuore (la disponibilità verso gli altri, la solidarietà). La responsabilizzazione degli studenti nei confronti dei bisogni sociali presenta un importante ritorno, il ‘servizio’ non è un percorso a senso unico, da chi lo offre a chi lo riceve, ma una forma di aiuto reciproco, nella quale chi dà, anche riceve, e non solo in termini di gratificazione personale, ma di apprendimento.
Nel passaggio d’epoca radicale che stiamo attraversando – quello dalla modernità alla post modernità –, in una congiuntura che ha fatto dire a S. Bauman che siamo in presenza di un ‘restringimento dell’etica’, l’educazione è di fronte a nuove sfide.
“Globalizzazione, finanziarizzazione dell’economia, nuove tecnologie, questione migratoria, aumento delle disuguaglianze sociali, conflitti identitari, questione ambientale, debito internazionale, sono solamente alcune delle parole che dicono dell’attuale “disagio di civiltà” – per richiamare il titolo di un celebre saggio di S. Freud. Di fronte alle nuove sfide, il mero aggiornamento delle vecchie categorie di pensiero o il semplice ricorso a sia pure raffinate tecniche di decisione collettiva non servono alla bisogna” .
La parola chiave per costruire una società diversa, cadute le illusioni ideologiche del Novecento, è la parola fraternità. Il paradigma nuovo che si oppone al paradigma dell’individualismo rapace e distruttivo, è il paradigma della gratuità. L’invito, a chi vuole attraverso l’educazione contribuire a migliorare la società è di “pensare la gratuità, e dunque la fraternità, come cifra della condizione umana e quindi di vedere nell’esercizio del dono il presupposto indispensabile affinché Stato e mercato possano funzionare avendo di mira il bene comune. Senza pratiche estese di dono si potrà anche avere un mercato efficiente ed uno Stato autorevole (e perfino giusto), ma di certo le persone non saranno aiutate a realizzare la gioia di vivere. Perché efficienza e giustizia, anche se unite, non bastano ad assicurare la felicità delle persone” .
La sfida posta all’educazione richiede che non solo si rafforzi la consapevolezza dei diritti umani, individuali e sociali, ma anche che si capisca come sia insufficiente affermarli con vigore e perfino farne oggetto di studio. Anche in questo caso e –verrebbe da dire- soprattutto in questo caso, vale il principio dell’imparare facendo. Già Aristotele ammoniva che non basta conoscere il bene per essere buoni. Quello che è richiesto è molto di più: realizzare un ambiente di apprendimento dove si sperimentano, praticandoli, i valori affermati, mettendo in pratica i principi della democrazia, della pacifica convivenza, del dialogo, del bene comune.
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